Colpi di timone

di Vincenzo La Rosa e Gilberto Govi

Colpi di timone
di Vincenzo La Rosa e Gilberto Govi


regia di Jurij Ferrini

Giovanni Bevilaqua, armatoreJurij Ferrini
La sig.na Paola, sua segretariaRebecca Rossetti
Pietro, fattorinoPaolo Rocca
Teresa, domesticaClaudia Benzi
Avv. Baratti / Angelo Tronca
Prof. Brunelli / Matteo Alì
Un giornalista / Igor Chierici
Conte Terzani / Angelo Tronca
Il capitano Negri / Igor Chierici


scenografia Laura Benzi
costumi
Pasquale Napolitano – supervisione Neva Viale

regista assistente Flaminia Caroli

organizzazione e promozione Chiara Attorre
produzione esecutiva Wilma Sciutto
responsabile tecnico Gian Andrea Francescutti


UNA CO-PRODUZIONE PROGETTO U.R.T. E 48° FESTIVAL TEATRALE DI BORGIO VEREZZI 

Beh…è successo questo: qualche anno fa, mentre recitavamo Mandragola di Machiavelli alla prima di Borgio Verezzi in piena estate, per un lazzo, preso dal divertimento della scena, feci una battuta con un forte accento ligure e il pubblico scoppio in una fragorosa risata…ne seguì un applauso a scena aperta. La cosa mi colpì. Mentre mi lavavo il viso dopo lo spettacolo pensai: “E se mettessi in scena una commedia di Govi?” Uscendo poi dal camerino incontrai Stefano Delfino, lo storico direttore del Festival, il quale mi disse: “Jurij, ho avuto un’idea…perché non metti in scena ‘colpi di timone’?”. Entrambi sapevamo di cosa stessimo parlando. Era venuto il momento di farlo, lo avevamo pensato entrambi nello stesso momento.

Oltre i confini della grande tradizione napoletana o veneta – tradizione inserita giustamente a pieno titolo nella storia del teatro da grandi attori come Eduardo De Filippo o Cesco Baseggio – esistono zone se non proprio inesplorate, quantomeno poco battute o dimenticate. E il teatro in lingua genovese del grande Gilberto Govi è stato accantonato troppo in fretta.

Il dialetto o la semplice cadenza, la sonorità primordiale delle varie lingue che compongono il nostro amato italiano, sono una ricchezza espressiva inesauribile. Il cinema e la televisione di oggi premiano (purtroppo con scarsissima qualità di risultati, a mio modo di vedere) altre provenienze come la cadenza romana o siciliana, in quest’ultimo caso anche con toni molto efficaci nelle fosche tinte del dramma o della tragedia.

Insomma la nostra lingua italiana è così ricca di suoni, idiomi, “detti”, metafore ed immagini, da poter essere, anche nel dialetto, un linguaggio universale a cui dare corpo in scena; dialetto e cadenza possono divenire parola e suono da incarnare in teatro; luoghi da esplorare per cercare nuovi perimetri espressivi; potrebbero addirittura essere fra i mezzi più efficaci per riportare ancora il teatro a quella dimensione popolare che lo ha sempre caratterizzato. Dimensione che si è persa nell’autoreferenzialità troppo pomposa di tanti artisti.

Gilberto Govi. Ci ho riflettuto a lungo, non è una impresa semplice: il passaggio è molto stretto; perché da un lato non esiste una tradizione da tradire e d’altra parte il talento di questo grande primo attore caratterista, costituisce giocoforza un confronto tanto inevitabile quanto da evitare. Insomma pare proprio una specie di trappola.

Ma in fondo fin da piccolo ascoltavo quei vecchi dischi di vinile a 33 giri che mio papà teneva in salotto…non c’erano ancora le videocassette…e quindi potevo solo immaginare quali dovevano essere i movimenti e l’espressività di questo grande attore; mi piaceva ascoltare come ciò che diceva Govi, con quella sua buffa voce, faceva crollare il teatro di applausi e risate. Il mio primo approccio con questo materiale è quindi solo uditivo e risale a più di trent’anni fa. Questo potrebbe essere un vantaggio per mantenere tempi e modulazioni vocali di un dialetto che non possiedo (ma che conosco), lasciando libere invece le intenzioni, le relazioni con gli altri attori e i rapporti con i personaggi.

Colpi di timone, poi, contiene anche elementi poetici, in qualche caso esistenziali e sicuramente un significato più profondo rispetto ad altri soggetti che Govi portò in scena. Giovanni Bevilacqua (il protagonista della vicenda) è un piccolo armatore, un vecchio lupo di mare, un uomo che si è fatto da se. Costretto a sopportare le malversazioni e gli “affari sporchi” di un sistema economico corrotto, da cui vorrebbe prendere le distanze, soffre da qualche tempo di forti fitte dolorose allo stomaco; il professor Brunelli, primario d’ospedale e suo vicino di casa, esaminate le radiografie, gli comunica che ha pochi mesi di vita per una incurabile lesione all’aorta, Da quel momento Giovanni Bevilacqua inizia a dire tutto quello che sa, quello che pensa e a creare uno scandalo dietro l’altro, in un crescendo di risate amare…fino ad un inaspettato lieto-fine.

Per tutte queste ragioni ho pensato di provare a…riprendere? O sarebbe meglio dire a… restaurare?…rinnovare? …il suo teatro. Forse, più semplicemente…a metterlo in scena e basta.

Jurij Ferrini