Rassegna stampa
Dovevate rimanere a casa, coglioni
(Caterina Serena Martucci – www.ilpickwick.it)
“Tutto il cinismo, la carica provocatoria, il ritmo incessante e nevrotico, il registro pop-pulp della scrittura di Garcìa son ben incarnati dalla Rossetti, che – con braccia verso l’alto e passo leggero e misurato – sembra sempre sul punto di esplodere, esprimendo «uno stato mentale che merita attenzione», cambiando registro nel finale dove giustamente e coerentemente implode di fronte alla conclamata impossibilità, non solo sua, di venire a capo delle anomalie che fondano il nostro stare al mondo in questo mondo”.
(Salvatore Margiotta – www.teatro.it)
“Leggete monologo e sapete cosa aspettarvi. Un attore in scena. Molte parole. Forse una storia o due. Beh, l’esperienza che regala Rebecca Rossetti è diversa da un monologo come ve lo aspettate. Non nel senso che ci sia qualcun altro in scena, ovviamente. O qualcos’altro. Lei è già tutto quello che serve. E neppure nel senso che manchino le parole: il testo di Rodrigo Garcia è una bella catena di parole tenute insieme dalla fame di paradossi, di solipsismo, di acidità. Fa sorridere, a volte, e ogni tanto persino pensare. […] Lo spettacolo però non sta lì. Se fosse così sarebbe un monologo e basta. Ma non è quello che andate a vedere. Non ne varrebbe la pena, fosse solo per quello. Lo spettacolo è nello sguardo di […] Rebecca Rossetti, tirato a lucido dall’allestimento di Jurij Ferrini. Brillante. Traverso. Terribile. È tutto lì. E dovreste guardare quello mentre Rebecca declama, mentre cambia voce, mentre fuma. Ci vedreste una strega. Una bambina. Una condannata. Ci vedreste cose che in effetti, nella vita, non incontrerete spesso. Anime. Non una sola. Tante. Moltitudini. Forse persino tutte. Tutte le anime del mondo. Lì, in bella evidenza, stagliate sul niente di una scena vuota. Dovevate rimanere a casa, coglioni. Ma così non avreste riconosciuto, sul palco, la vostra, di anima, che sgambettava come un alunno al saggio di fine anno. E non avreste potuto applaudirla. Se lo meritava, la vostra anima, un applauso. E se lo merita anche Rebecca Rossetti.
(Alessandro Mauri – www.teatroeatroteatro.it)
“Poiché non è educato, e neppure moralmente accettabile, utilizzare l’epiteto “coglioni” per chi si è perso questo spettacolo, vediamo di ammorbidire il giudizio con questa formula: dovevate venire al Tertulliano ieri e oggi, sciocchini. […] Dovevate venire a vedere la regia di Jurij Ferrini […] quando un regista ama il copione che mette in scena se ne accorge chiunque, pure l’occhio inesperto. Dovevate venire ad ammirare la bellezza di Rebecca. E quando parlo di bellezza mi riferisco a quella di cui parlava Dostoevskij, quella che salverà il mondo. Dovevate venire, punto. Non muore nessuno, ma per il futuro il consiglio è di non lasciarvi sfuggire un monologo elettrizzante, che ricarica le batterie dell’anima”.
(Francesco Mattana – critico)
“Rebecca Rossetti, attrice e danzatrice dalle straordinarie capacità comunicative, diretta dalla regia di Jurij Ferrini, che con il suo progetto U.R.T. ha avviato una riscoperta della drammaturgia, a partire da ciò che ha di più vero ed essenziale: il testo. Questo tipo di approccio registico fa della semplicità la condizione in cui risaltano quelli che sono i veri contenuti concettuali di un’opera, inevitabilmente legati all’attore da un rapporto molto stretto, di mutua responsabilità”.
(Elena Tondo – www.teatrionline.com)
“Dovevate rimanere a casa, coglioni, celebre partitura di Rodrigo Garcia che l’intensa Rebecca Rossetti, diretta da Jurij Ferrini, fa ormai sua come una seconda pelle: gli originali cinque monologhi diventano materiale per un’unica danza verbale con assoluto protagonista il testo, la parola in tutta la sua spiazzante forza […] In questa apparente terra di nessuno la Rossetti imperversa con la sua nevrotica fisicità, proiettando il cinismo e la carica provocatoria di una scrittura che costringe lo spettatore a fare i conti con le infinite contraddizioni dello stare al mondo: ininterrotta esplosione di rabbia ed energia che si autoannulla in un vibrante finale dominato dall’implosione, o forse resa, della protagonista in grado di riconoscere l’impossibilità di contrastare quanto ogni giorno la vita apparecchia sul proprio cammino”.
(Roberto Canavesi – 13/05/2018 – www.teatroteatro.it)